giovedì 20 marzo 2014

L'evento. Sabato 22 marzo. Dal segno al senso: l'invito e una nota di Carlo Melloni


Pittore, ma anche scultore, Vittorio Amadio ha una concezione polidirezionale dello spazio virtuale (lo spazio, cioè, che il dipinto o la scultura ambisce metafisicamente di occupare). Guardiamo i suoi dipinti. Anche quando la stesura cromatica ha un andamento prevalentemente orizzontale, l’ordito pittorico estrapola dal suo percorso improvvise, guizzanti impennate, blocchi di segni/colore che sembrano dissociarsi da un itinerario mentale estremamente bilanciato, per orientarsi e avventurarsi verso l’alto rispetto al piano di sedime del colore o dei colori selezionati dall’artista. Sono fasci di pinnacoli, condizionati, però, nel loro dinamismo ascensionale, dalla bidimensionalità del dipinto.
Tutt’altro discorso per le colonne cilindriche istoriate, opere recentissime dell’artista piceno, che qui sono esposte per la prima volta. In queste opere i condizionamenti spaziali dei dipinti non esistono e, pur tuttavia, la spazialità del manufatto plastico non s’aggrega al concetto brancusiano della colonna senza fine, bensì a quello romano e romanico della colonna “narrante”, della colonna cui l’autore affida la funzione del dialogare (indubbiamente) con lo spazio e, sincronicamente, con il riguardante.
Già negli anni passati, con le stele lignee piatte, incise da arabeschi e da segni criptici, Amadio aveva sperimentato il tentativo di accedere, mediando tra simbolismo di derivazione totemica e recupero strumentale della memoria ancestrale (quelle stele di legno di quercia sono travi vecchie di secoli, alcune risalenti al ‘500, originariamente utilizzate a sostegno di soffitti domestici), a differenziate stratificazioni di connessioni e emozioni intersoggettive. Con le colonne cilindriche, gremite di richiami iconici e di trame grafiche, che l’artista dispone con la consueta perizia, Amadio traccia serie indefinite di morfemi pittorici, che si traducono in messaggi subliminali diretti a chi guarda. E chi guarda se ne compenetra inconsciamente, girando attorno alle colonne, guardandole dal basso verso l’alto e viceversa. Infatti, la sequenza delle colonne istoriate ispira sensazioni simili a quelle di una wunderkammer, di una stanza delle meraviglie, poiché il gioco dei riflessi percettivi e delle suggestioni mitografiche è tale da creare l’illusione di una realtà che ha travalicato i confini della realtà fenomenica.


Carlo Melloni
Lo spazio dell’immagine e lo spazio dell’immaginario

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